Sul fondo più estremo del grande oceano, dove l’oscurità fa il mare impenetrabile, convivono pesci d’ogni razza, colore e dimensione. Il loro rapporto è totalmente dominato dalla sopravvivenza, i loro sguardi, le loro tane, le loro fughe. Questo perchè il mare largo è dominio di squali il cui unico obiettivo è il sangue: uno squalo non istruisce un pesce più piccolo, lo mangia. Su questo movente si svolge Natale in cucina, commedia inglese di Alan Ayckbourn, per l’edizione italiana tradotta da Masolino D’Amico e portata sulla scena da Giovanni Lombardo Radice, entrambi ormai vere certezze di un lavoro ben fatto.
Tre sono gli atti della commedia, tre gli ambienti in cui si muove, i nuclei familiari e sociali in cui si dipana la scena, in tre successive vigilie di Natale. Sidney e Jane sono persone semplici, hanno una casetta abbigliata con puntuale gusto, ma bramano la grandezza dei loro ospiti natalizi. Sono trepidanti per la serata che sognano perfetta – così da poter vantare amicizie e coperture celebri – preparano ogni cosa con grande precisione, ma finendo nell’inevitabile sfacelo. Tuttavia – e qui tutto cambia – all’uscita degli ospiti i due coniugi si ritrovano nella loro cucina a congratularsi della riuscita; le loro facce mutano: i pesci piccoli, si stanno facendo grandi.
Il secondo atto sposta l’attenzione sulla rovinosa vita di Geoffrey, donnaiolo architetto in discesa, e la depressa moglie alle prese col suicidio. La comicità acquista il reale tragico e si va incrinando, tuttavia non cede ai tentativi della donna e li sfrutta per farne equivoci divertenti: i semplici amici, ospiti in quella casa, travisano del tutto e sventano ogni manovra della donna: la peggior sorte che può capitare a un suicida, è finire in una commedia.
L'ultimo atto svela i piani del testo. I vecchi ricchi vivono la disgrazia della decadenza mentre ormai inarrestabile è l’ascesa immorale dei nuovi arricchiti: mutano i rapporti di forza, muta il quadro delle adulazioni al seguito delle variazioni economiche. In casa di Ron e Marion la tristezza del Natale si fa palese nell’alcolismo e nelle beghe di famiglie in rovina, proprio quando compaiono, in tenuta festaiola, Jane e Sidney.
Amaro e realistico, il testo non annoia e sfrutta tutto lo spazio per far ridere di gusto e, con semplicità, fornire un messaggio chiaro attraverso attori in stato di forma; la scena, squisitamente retrò, è veridica, i colori vanno spegnendosi seguendo il deterioramento morale, nei tre ambienti; la bugia, la finzione, la furbizia dell’arrampicata sociale colgono lo svolgimento dei rapporti sociali, con uno sguardo molto penetrante. Ayckbourn, modello Orwell, costruisce la sua Fattoria degli animali e ci dice che l’ascesa e il decadimento hanno parentela stretta, si succedono come una fune, tirandosi un po’ di qua e un po’ di là.